Un interessante articolo su Regioni&Ambiente mette in luce come nessuno dei Paesi del G20 è nell’obiettivo +1,5 °C. Lo riportiamo qui per intero.
Il nuovo Rapporto del Climate Transparency, che costituisce l’analisi più completa sull’azione climatica dei Paesi del G20, contiene una scheda sui singoli Paesi, compresa quella sull’Italia che meriterebbe un’attenta lettura prima di assumere le decisioni finali da adottare entro dicembre sul PNIEC.
In vista della Conferenza ONU sul Clima (UNFCCC-COP25) che avrebbe dovuto svolgersi a Santiago (Cile), ma che a seguito dei disordini che hanno luogo nel Paese, sarà ospitata dalla Spagna (Madrid, 2-13 dicembre 2019) , Climate Transparency , la rete globale di 14 dei più importanti istituti di ricerca e organizzazioni sul clima, ha pubblicato il Rapporto 2019 “Brown to Green”, la più completa analisi del percorso di transizione energetica dei Paesi del G20 per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei +2 °C e di fare tutto il possibile per arrestarlo a +1,5 °C entro la fine del secolo, come previsto dall’Accordo di Parigi.
I Paesi del G20 hanno un grande responsabilità politica, nonché un interesse economico, di indirizzare il mondo verso l’obiettivo concordato, poiché sono responsabili di circa l’80% delle emissioni globali di gas a effetto serra e detengono l’85% del PIL globale. Nei Paesi del G20, circa il 70% degli impatti climatici potrebbe essere evitato, limitando il riscaldamento globale a +1,5 °C anziché a +3 °C, qual è l’attuale traiettoria se non si agisce adeguatamente.
Tuttavia, dal Rapporto di Climate Transparency che ha preso in esame 80 indicatori – dall’uso delle rinnovabili alle politiche climatiche, dal supporto finanziario alla vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici – emerge che nessun Paese del G20 è attualmente sulla buona strada per conseguire l’obiettivo e molti di loro dovranno aumentare significativamente i loro obiettivi di emissione al 2030, che dovranno essere rivisti nel 2020, come previsto dall’Accordo stesso.
“Ad un solo anno dalla revisione degli impegni assunti, c’è la speranza che i Paesi sappiano trovare la volontà politica di impegnarsi di più per raggiungere gli obiettivi sottoscritti – ha detto Alvaro Umaña, co-Presidente di Climate Trasparency ed ex-Ministro dell’ambiente e dell’energia del Costa Rica – Per la prima volta, il rapporto identifica il potenziale non sfruttato e le opportunità chiave per i Paesi di accrescere l’ambizione e come tale volontà possa costituire uno strumento prezioso per i Governi nel momento in cui dovranno aggiornare quando aggiornano i propri piani climatici”.
Secondo lo Studio, le emissioni globali dei Paesi del G20 sono aumentate ancora dell’1,8% l’anno scorso, a causa dell’aumento della domanda energetica, nonostante il 5% dell’approvvigionamento sia stato coperto da fonti rinnovabili: l’82% del fabbisogno è ancora coperto da fonti fossili.
Nel 2018 le emissioni di CO2 correlate alla produzione di energia sono aumentate dell’1,6%, anche se le rinnovabili hanno raggiunto il 25,5%: quota insufficiente a contrastare il peso l’aumento delle emissioni dalle fonti sporche. Bisogna che il carbone sia messo al bando entro il 2030 nei Paesi OCSE ed entro il 2040 nel resto del mondo.
Le emissioni nel settore dei trasporti nei Paesi del G20 sono aumentate dell’1,2% nel 2018 e i carburanti a basse emissioni di carbonio hanno pesato per meno del 6%, mentre è necessario che decuplichino entro il 2050 se si vuole limitare il riscaldamento globale a +1,5 °C, avendo già raggiunto +1 °C. I Paesi del G20 hanno bisogno di ampliare le proprie politiche, vietando la vendita di nuove autovetture a combustibili fossili al più tardi entro il 2035, riducendo le emissioni del trasporto merci per portarlo a emissioni zero al 2050 e passando a trasporti pubblici non a motore e sostenibili. Inoltre, occorre ridurre i sussidi statali al settore aereo, tassare i carburanti per i jet e utilizzare le entrate derivanti per massicci investimenti sui nuovi carburanti puliti, facendo leva sugli enormi benefici che ne deriverebbero per la salute umana.
Le emissioni del G20 nell’edilizia sono cresciute più che in qualsiasi altro settore nel 2018. La riqualificazione energetica degli edifici costituisce una sfida per tutti, in particolare per i Paesi dell’OCSE, dove i nuovi edifici, per essere sulla giusta traiettoria di +1,5 °C, devono essere vicini allo zero emissioni entro il 2020-2025.
I Paesi del G20 hanno ancora erogato sussidi per combustibili fossili per oltre 127 miliardi di dollari nel 2017. I sussidi sono calati solo in 9 Paesi (in parte a causa della caduta dei prezzi dei carburanti), ma sono rimasti i sussidi per le infrastrutture e la produzione di gas naturale.
“Le emissioni complessive di CO2 aumentano in tutti i settori, ma stiamo assistendo a ad alcuni risultati emergenti che possono costituire un esempio per gli altri, come le politiche intraprese dalla Cina per la promozione dei veicoli elettrici e dei pubblici trasporti – ha dichiarato Lena Donat, tra i principali autori del Rapporto – Per far sì che l’Accordo di Parigi abbia successo, i Paesi del G20 devono assumere la leadership climatica e preparare soluzioni avere successo, è chiaro che i paesi del G20 devono essere leader climatici e preparare la strada per approntare soluzioni di cui possano beneficiare i Paesi in via di sviluppo”.
Per quanto riguarda l’Italia, si legge, lo schema di PNIEC (il Piano nazionale per l’energia e il clima in fase di definizione finale entro la fine dell’anno) prevede l’obiettivo del 30% di energia rinnovabile entro il 2030 nei consumi finali di energia. Questo presuppone che il solare fotovoltaico debba triplicare la sua produzione rispetto al 2017 e quella dell’eolico raddoppiare. Dal momento che non è stato ancora definito, “è il momento ideale per aumentare gli impegni per il clima”.
Come per tutti i Paesi del G20, anche all’Italia è dedicata una Scheda (Country profile) dove vengono evidenziate gli aspetti critici che costituiscono remore per un’adeguata azione climatica.
Tra questi l’erogazione nel 2017 di oltre 10,5 miliardi di euro di sussidi ai combustibili fossili, dei quali il 98% destinato al consumo di combustibili fossili e il 2% alla produzione.
I combustibili fossili in Italia continuano a rappresentare il 79% del mix energetico, con i trasporti che sono al 1° posto (31%) per i consumi, seguiti da elettricità e riscaldamento (27%), agricoltura (25%), edifici (19%) e industrie (17%). Quantunque le emissioni in Italia siano diminuite del 18% tra il 1990 e il 2016 (escluso il cambio di uso dei suoli), tale trend non è tale da apportare un significativo contributo al contenimento del riscaldamento globale. Peraltro, i dati preliminari del 2018 indicano che non sono diminuite e quelle della prima parte del 2019 indicano che sono addirittura in crescita, nonostante la diminuzione del PIL.
L’Italia produce ancora il 10% della sua elettricità con il carbone. La decisione di mettere al bando tale produzione entro il 2025 è in linea con l’obiettivo +1,5 °C, mentre la produzione da rinnovabili pur raggiungendo il 40% nel mix energetico non avrebbe ancora una strategia a lungo termine per raggiungere il 100%.
Giudizio positivo per l’intensità di carbonio, indicatore dell’efficienza del sistema di trasformazione dell’energia, diminuita del 5% negli ultimi 5 anni, il terzo maggior calo tra i Paesi del G20.
Per rimanere entro il limite di 1,5 °C, l’Italia dovrebbe limitare le emissioni derivanti dal consumo di suolo arrestando l’espansione delle aree residenziali e creando “nuove foreste”.
L’augurio è che i decisori politici prima di decidere il testo finale del PNIEC, leggano con attenzione i consigli e le critiche contenute nella Scheda.